Realtà virtuale e giornalismo: un azzardo?

Nell’articolo precedente abbiamo parlato della realtà virtuale e della sua recente associazione con l’arte. Sarebbe pressoché insensato presupporre che la realtà virtuale rimanga circoscritta ad un limitato numero di ambiti di applicazione: tanto è vero che da qualche anno Nonny de la Peña si occupa di Immersive Journalism, una particolare forma di giornalismo in cui il soggetto vive in prima persona gli eventi o le situazioni descritti nell’articolo.

La differenza tra Immersive Journalism e videogiochi in RV

Affinché ciò sia possibile sono necessari alcuni accorgimenti: innanzitutto è indispensabile ricreare lo scenario dell’ambientazione in cui il fatto di cui si parla si è svolto; successivamente si provvede alla creazione di un avatar 3D del partecipante così che quest’ultimo possa vedere la scena in prima persona. In seguito a questa breve spiegazione sorge spontaneo un interrogativo: qual è la differenza tra l’Immersive Journalism e un videogioco in RV? Semplice; nel primo caso il partecipante è immerso in una realtà su cui non ha il minimo controllo: non può prendere decisioni, non può aiutare, non può fare altro se non assistere ad un evento, che inevitabilmente lo condizionerà.

Perchè, molti di voi si chiederanno, è stato realizzato tutto questo? La risposta è tutt’altro che semplice ed univoca, lascio che siate voi a trovarla – se ne avrete il desiderio. Io mi limito a considerare questo fatto: sin dagli uomini primitivi la rappresentazione grafica di vicende si è dimostrata cruciale (basti pensare ai disegni rupestri osservabili nella grotta di Altamira nella Spagna settentrionale), tanto è vero che questa tradizione persiste tuttora.

La nascita dell’Immersive Journalism

Ora torniamo al punto di partenza: la giornalista Nonny de la Peña. Ella nel 2012 decise di congiungere la realtà virtuale con il giornalismo per sensibilizzare il popolo americano al problema della fame: non potendo far sentire le persone “affamate”, poteva trovare un modo per ricreare la situazione drammatica delle persone in attesa della propria razione al banco alimentare. Consideriamo che Nonny per realizzare il proprio Immersive Journalism utilizza materiale audio, video e fotografico ottenuto direttamente da eventi reali, così che l’esperienza del partecipante sia la più reale e “immersiva” possibile. Il video da lei prodotto ottenne ampissima risonanza, tant’è che a de la Peña fu commissionato un “articolo” sulla situazione dei bambini siriani rifugiati durante la guerra civile; l’elenco degli “articoli” a lei commissionati continua ad aumentare.

L’elemento caratterizzante: l’empatia

L’elemento che a parere della giornalista sopra citata ricorre nella maggior parte di esperienze di Immersive Journalism è l’empatia. Questo però può rappresentare un pericolo se si considera l’effetto che l’empatia può avere sulla presa di decisione degli esseri umani. Sapendo che l’empatia risulta essere il fattore predominante nelle esperienze di realtà virtuale, è opportuno considerare quanto sia positivo l’impatto che essa ha sui soggetti che la utilizzano. L’empatia può essere “sfruttata” per rendere le persone consapevoli della gravità della situazione di altri esseri umani e non, affinché aumenti la sensibilità verso questi ultimi – ne è un esempio il caso sopra descritto riguardo l’esperienza al banco alimentare. Inoltre, è bene considerare l’impatto emotivo che esperienze forti possono suscitare nei soggetti, nei quali possono insorgere le stesse emozioni esperite dai diretti protagonisti del fatto. Ne consegue che i soggetti possano, dunque, essere coinvolti anche fisicamente e non solo psicologicamente dall’ambiente virtuale.

Esperienze traumatiche

Con alta probabilità, parlare di esperienze traumatiche in seguito a Immersive Journalism può essere eccessivo, tuttavia è un’eventualità che necessita un’attenta considerazione. Tuttavia simulazioni al computer e di realtà virtuale sono utilizzate come forma di psicoterapia di esposizione nei militari statunitensi che mostrano segni di disturbo post-traumatico da stress (DPTS). I rapporti relativi a questa forma di trattamento suggeriscono una diminuzione sostanziale dei sintomi di DPTS, inoltre questa forma di terapia è preferita alla terapia tradizionale da parte dei soldati.

Dunque, anche per quanto concerne la collaborazione tra realtà virtuale e giornalismo è bene considerare le implicazioni e gli effetti che questa potrebbe avere sull’intera società: infatti non tutta la popolazione presenta la stessa forma mentis per cui assistere ad eventi potenzialmente traumatici non costituisce alcuna minaccia. Ad ogni modo gli strumenti per esperire l’Immersive Journalism sono ancora di scarsa diffusione e, fatto importante, sono utilizzati principalmente da persone che decidono di vivere gli eventi raccontati in prima persona.

 

 

Mara

 

 

Fonti:

  • http://www.immersivejournalism.com 
  •  https://www.ted.com/talks/nonny_de_la_pena_the_future_of_news_virtual_reality
  • Donghee Shin (2017). Empathy and embodied experience in virtual environment: To what extent can virtual reality stimulate empathy and embodied experience?. Computers in Human Behavior
  • J. M. Hooley, J. M. Butcher, M. K. Nock, S. Mineka (2017). Psicopatologia e psicologia clinica.

2 thoughts on “Realtà virtuale e giornalismo: un azzardo?

    Franco
    on said:

    L’articolo è chiaro e coinciso, ma ci sarebbe molto da dire dietro al concetto di “realtà”. L’uso indiscriminato di questo strumento sfruttando le emozioni e l’empatia che può suscitare si presta ad una manipolazione delle coscienze e delle opinioni, specialmente dei soggetti meno “formati”, intollerabile ed estremamente pericolosa. Varrebbe la pena di approfondirne le implicazioni.

    Un’altro aspetto, peraltro già in uso nella ricerca scientifica ed iniziato già anni fa con la visione 3D su schermo, è al contrario indubbiamente utile e proficuo. Poter vedere dietro un oggetto, una molecola durante una sintesi e così via può spianare la strada della ricerca evitando vicoli ciechi e ottimizzandone la comprensione. Come sempre il discriminatore è l’uomo, e qui sta il punto chiave. Un’arma va data in mano solo a chi è capace di gestirla in modo etico.

      Mara
      on said:

      Buon pomeriggio Franco, con piacere accolgo il tuo suggerimento e te ne sono grata. A questo riguardo ti fornisco una piccola “anticipazione”: prossimamente sarà pubblicato un articolo volto ad indagare maggiormente nel dettaglio le implicazioni derivanti dall’utilizzo della RV in vari campi applicativi.
      Precisamente, l’utilizzo della RV e tecnologie simili a scopi educativi è senz’ombra di dubbio proficuo ed utile, tuttavia, anche in questo caso, sono necessarie alcune precauzioni. A tal proposito, e nel caso in cui non avessi ancora avuto modo di leggerli, ti segnalo i seguenti post: (1) https://similactio.altervista.org/realta-virtuale-un-ausilio-allistruzione/ e (2) https://similactio.altervista.org/lutilizzo-della-rv/.
      Buona permanenza e buona lettura!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.